Gli otto rami dello yoga

In Occidente, quando parliamo di Yoga, di solito intendiamo la pratica delle asana, nella migliore delle ipotesi, la pratica del pranayama e di tecniche di concentrazione e meditazione.
Questa, tuttavia, è una visione assai limitata degli obiettivi, dei mezzi e della vera natura dello Yoga!

Lo Yoga, per come è inteso tradizionalmente, è un percorso spirituale che fornisce al praticante le tecniche e le conoscenze necessarie ad entrare in contatto e ricongiungersi con l’Assoluto.

Lo Yoga è la realizzazione dello stato per cui il soggetto (colui che cerca), l’oggetto (l’oggetto della ricerca) e l’atto della ricerca (la pratica) non sono più entità separate, ma sono un tutt’uno. In questo stato viene svelata la vera natura dell’esistenza.

Senza stare a raccontare tutta la storia, vi posso dire che  fra il 500 A.C. e il 300 D.C. fu scritto da Patanjali (ovviamente è stato attribuito a lui ma probabilmente sono state più mani a scrivere) gli Yoga Sutra.
Questo testo è una raccolta di aforismi sullo Yoga; qui troviamo la definizione degli otto rami dello yoga.

Ashtanga yoga; Astau (otto) Anga (aspetti, rami, membra, livelli)
Questi Anga sono intercollegati; ciascuno di essi ha numerose sfaccettature che si rivelano attraverso lo studio dei testi e con la pratica. Conducono progressivamente agli stadi più elevati di consapevolezza e alla vita spirituale; le discipline che li costituiscono sono via via più interiori. 

Andiamo a sviscerare ogni ramo.

Yama

sono i principi etici e sociali, le regole morali e si riferisce al controllo delle tendenze negative umane. 

si suddividono in:

Ahimsa – la non violenza o compassione.
Ahimsa inizia con il rispetto per il proprio corpo, che poi viene esteso a tutto il resto del mondo. Questo tipo di non nuocere viene interpretato anche come non spegnere l’entusiasmo di qualcuno, deriderlo, trattarlo irriverentemente, ferirlo perché tutto ciò che stiamo facendo a qualcuno lo stiamo facendo anche a noi stessi.

Come usarlo nella pratica: durante la pratica provate a rilassarvi in ogni posizione, non sforzatevi mai. Fate che le vostre Asana siano un processo di autoesplorazione anzichè è una severa punizione.

Satya – Sincerità.
Ovvero essere onesti con se stessi e gli altri. Spesso si pone il problema di un possibile conflitto tra questo secondo principio e Ahimsa.
Cosa fare se la verità rischia di ferire? Nel Mahabharata si discute questo apparente dilemma: “la verità dovrebbe essere detta solo se piacevole con modi piacevoli; la verità che ferisce non andrebbe detta; tuttavia non si dovrebbe mentire per compiacere qualcuno.”
Possiamo lavorare soltanto sul ciò che è.

Come usarlo nella pratica: nella pratica si può dominare il proprio corpo nella misura in cui si è consapevoli di esso.
Se la nostra identificazione con il corpo è completa ci accorgeremo che una volta affrontato l’ostacolo, accettandolo per quello che è, potremmo liberarcene, cosa che non otterremo ignorandolo.

Brahmacharya – la moderazione.
Onorare noi stessi e gli altri nelle relazioni intime. Generalmente lo si interpreta in modo approssimativo come il giusto utilizzo dell’energia. Gli insegnamenti yoga non sono mai stati imposti. Allo Yogi si insegna a non sentirsi in colpa se sbaglia e a non ritenersi responsabile se non è ancora riuscito a realizzare l’ideale che si è prefissato.

Come usarlo nella pratica:nella meditazione provate a far salire nell’energia e la coscienza lungo la spina dorsale fino a un punto della fronte che si trova fra le sopracciglia. Questa regola dovrebbe anche essere seguita praticando le posizioni yoga cercate per mezzo di queste posizioni di dirigere l’energia del corpo verso l’alto, nel cervello.

Aparigraha – la generosità priva di gelosia o invidia. 
Ovvero l’assenza di avidità che si riferisce alla libertà dal desiderio. Implica avere uno spirito generoso e agire con generosità, donando senza aspettarsi nulla in cambio.

Come usarlo nella pratica:Se applichiamo questo concetto alla pratica delle asana del pranayama proviamo a praticare con un atteggiamento paziente che privilegi la stabilità e l’agio piuttosto che il tentativo di realizzare perfettamente alla posizione

Asteya – l’astenersi dal rubare per timore di non riuscire a procurarsi ciò di cui abbiamo bisogno.
Significa comprendere che qualsiasi cosa di cui abbiamo il diritto, in un modo o nell’altro, arriverà da noi e che dunque è inutile condizionare la nostra felicità al raggiungimento o all’ottenere quella cosa oppure no.
La realizzazione già esiste, perché voler possedere l’universo dal momento che voi siete l’universo? 

Come usarlo nella pratica: All’interno della pratica possiamo fare il nostro dovere sul tappetino prima di aspettarci i frutti della pratica. Sperimentare il senso di abbondanza nella pratica ma al tempo stesso onorare ciò che non abbiamo tenuto È un modo per esprimere questo principio.

Niyama

Sono precetti di autodisciplina o restrizioni.
Queste sono le regole di condotta personale, un mezzo per ottenere il benessere incentrato non più sulla relazione con gli altri ma sull’intimità della relazione con se stessi.

Si suddividono in:

Saucha – purezza.
Idea di trattare il proprio corpo come un tempio, coltivando la purezza fisica e mentale.
La pratica delle Asana disintossica il corpo rimuovendo le impurità causate dal l’ambiente circostante e dalla dieta. Mantenersi puliti esternamente con una corretta igiene personale, aiuta a purificare il corpo dall’esterno, mentre mangiare cibo fresco e sano porta una maggiore pulizia all’interno.

Come usarlo nella pratica: Quando ci prepariamo alla pratica facciamo in modo di essere puliti fuori e dentro

Samtosha – contentezza o appagamento questa viene definita come virtù suprema. 
Se alla tendenza del cuore che cerca soddisfazione all’esterno l’uomo pone deliberatamente appagamento troverà Gioia senza fine. Purezza o limpidezza vuol dire anche liberazione dal desiderio di molte cose nella consapevolezza che siamo ogni cosa, siamo tutto punto questa comprensione porta la felicità Suprema alla nostra anima, la quale comprende di essere gioia. Questo non si deve aspettare perché è sempre qui adesso.
Samtosha ci permette di essere felici per ciò che siamo e che abbiamo in questo momento.

Come usarlo nella pratica: Praticare le posizioni yoga con un senso di vero piacere. Sempre sorridenti, imparare il ritmo costante, constatare le capacità del nostro corpo e guidarlo dolcemente sul sentiero della perfezione.

Tapas – autodisciplina.
Dedizione disciplinata necessaria a stabilirsi in una condizione di appagamento, senza scivolare nell’apatia e nel l’autocompiacimento. 

Come usarlo nella pratica: Quando pratichiamo disciplinare il nostro corpo ad una pratica costante, quando meditiamo disciplinare la mente insegnandogli a comportarsi come si deve dunque non lasciarla correre come vuole.

Svadyaya – studio del sé, preghiera.
Questo rende più profonda la nostra spiritualità e ci permette di dimorare negli yama e niyama.
Richiede di coltivare intenzionalmente la consapevolezza di noi stessi in tutto ciò che facciamo nel mondo rimanendo centrati nella verità. Cerchiamo di sviluppare un modo più autentico di stare nel mondo come esseri umani. Fermarsi di tanto in tanto per porsi domande circa la propria condotta aumenta questo senso di autenticità.

Come usarlo nella pratica: Si deve anche comprendere che le posizioni yoga non solo apportano salute al corpo un ma lo preparano come se fosse un tempio per la comunione con il signore infinito e con gli esseri superiori che vivono nella sua luce.

Isvara Pranidhana – accettare il fatto di non avere il controllo su tutte le cose.
Lasciare andare l’ego, così che la nostra vita esprima tutte le qualità degli yama e dei niyama.
Alcuni definiscono questo niyama come abbandonarsi a Dio, il senso divino, per altri la sensazione di essere una manifestazione della totalità dell’universo naturale. Quando siamo immersi in uno stato più grande del sé individuale, abbiamo più chiara la ragione per cui esistiamo e ciò influenza anche il nostro modo di praticare.
Ma allora se lo Yoga non si basa sulla fede ma solo su delle pratiche Perché parlare di Dio?
Perché nessun uomo può progredire spiritualmente se non si convince che esiste qualcosa di più alto al di sopra della sua coscienza. 
Se un bimbo insistesse nel non voler imparare dalle persone maggiori d’età rimarrebbe per sempre nell’ignoranza e se l’uomo respingesse ogni tradizione dovrebbe inventarne di nuove quindi se lo yogi proteso verso più alte realtà sceglie Dio per raggiungerle quale obiezioni si può muovere? 
L’uomo con la sua piccola mente non potrà mai comprendere qualcosa di così grande, al di là della sua capacità di intendere e cioè che esiste uno stato di assoluta perfezione a cui dovrebbe interamente consacrarsi. Senza la devoluzione rimarrà fermo ed inattivo nello stagno delle limitazioni dell’ego.

Asana

“La postura è stabile e agevole. Ciò si ottiene con il rilassamento dello sforzo e l’immedesimazione con l’infinito”

(Yoga Sutra, II 46-47)

Sono le varie posture che fanno si che le condizioni fisiche e psicologiche del corpo siano in armonia con il modello psicologico della disciplina yogica.
Il significato della radice as è “essere presente nel corpo, dimorare, esistere vivere in esso.” la traduzione letterale di Asana è sedersi, che può essere interpretata come nel senso di essere semplicemente qui adesso nel momento presente.
Il Sutra di cui sopra sarebbe Sthira sukham asanam
Dove sthira significa stabile o fermo mentre sukham significa morbido, agevole, rilassato. se uniamo questi significati li applichiamo al contesto della pratica dinamica, si riferiscono allo sviluppo di un insieme di qualità come la fermezza l’agio la presenza mentale, respiro dopo respiro, durante le posizioni e tra una posizione e l’altra.

Pranayama

“Il controllo del respiro consiste nell’interruzione dei flussi dell’inspirazione e dell’espirazione”

(Yoga Sutra, II 49)

L’espansione del prana
Prana è l’energia vitale che ci circonda, la assumiamo dal cibo, da ciò che tocca la pelle ma soprattutto con il respiro, questo ramo comporta una serie di tecniche di respirazione. La scienza del respiro che unisce il macrocosmo con il  microcosmo e viceversa. Attraverso questa pratica il sistema respiratorio e quello circolatorio raggiungono uno stato di armonia. 
La padronanza degli asana e del pranayama aiuta il praticante a distaccare la mente dal corpo e ciò porta alla concentrazione e alla meditazione.

Pratyahara

“Il ritiro ha luogo quando i sensi, sganciandosi dagli oggetti loro propri, giungono come ad assumere la forma della mente”

(Yoga Sutra, II 54)

Spostamento verso l’interno dei sensi; rilascio dei sensi o ritirarsi dagli oggetti dei sensi.
Qui cessa l’attenzione nei confronti del mondo esterno.
Placare i sensi e mantenerli nella loro posizione passiva interiorizzandoli, così che possano risiedere al centro dell’essere umano.

Dharana

“Concentrazione è il fissarsi della mente in un luogo”

(Yoga Sutra, III 1)

Qui inizia il terzo stadio dello yoga descritto come la “ricchezza dello yoga” da Patanjali.
Il Dharana è la concentrazione totale su un oggetto. costringendo la mente a disciplinarsi rispetto al suo normale funzionamento che sarebbe quello di saltare da un pensiero all’altro come una scimmia da un albero all’altro.
Questo anga è il vero antidoto a quella condizione mutevole dispersiva che si vuol eliminare e consiste semplicemente nel mantenere l’attenzione su un determinato oggetto che abbia particolare rilevanza per il praticante, escludendo qualunque altra interferenza.
Dharana vuol dire “legare” la coscienza a un punto o un luogo particolare grazie alla sua capacità di modificarsi, ossia di assumere la forma e le caratteristiche dell’oggetto che contempla trasformando nell’idea di quel determinato oggetto.

Dhyana

“La meditazione è la fissità continua della rappresentazione a essa relativa”

(Yoga Sutra, III 2)

“La mente prodotta dalla meditazione è priva di deposito karmico latente”

(Yoga Sutra, IV 6)

Dhyana è un flusso continuo di consapevolezza che ha come supporto l’oggetto della meditazione; si tratta di una successione ininterrotta nel campo della coscienza dell’unica modificazione consentita dalla pratica di concentrazione, cioè dell’idea creata dall’oggetto. Ciò che distingue la meditazione Dhyana dalla concentrazione e Dharana è la durata cioè la capacità, che nasce dalla pratica e dall’esperienza, di mantenere a lungo l’attenzione legata a un determinato oggetto.

Samadhi

“L’estasi è la meditazione stessa allorché assume come unica forma quella dell’oggetto di meditazione , quasi svuotandosi della propria essenza”

(Yoga Sutra, III 3)

“Allorché viene eliminata la dispersione ed emerge lo stare in un punto si verifica, per la mente, l’evolversi nell’estasi”

(Yoga Sutra, III 11)

Stato di unità con l’oggetto di meditazione, cioè arrivare ad essere un tutt’uno con l’oggetto di meditazione e non avere più confini tra meditante e meditato. Obiettivo finale dello yoga ovvero arrivare all’unione.

Ciò che accomuna le componenti della triade dharana dhyana samadhi è proprio il fatto di avere in comune un oggetto di concentrazione, cioè un seme, mentre quello che le distingue è solo la diversa durata e qualità di tale concentrazione: intermittente in dharana, continua indiana e impersonale in samadhi, dove manca la consapevolezza dell’atto cognitivo.

Quando questi tre stadi hanno il medesimo oggetto, sono chiamati i SAMYAMA e la parola formata da yama, termine che indica controllo e dal prefisso Sam che ne accentua il significato.
Samyama è un con termine tecnico dello Yoga che indica il perfetto controllo della concentrazione e della meditazione. 

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